Che lavoro la famiglia.
di Katia Saponaro
di Katia Saponaro
Da tempo immemore si sente parlare di donne che si ritrovano a lasciare il proprio lavoro dopo essere diventate mamme. Fin qui nulla di nuovo, ahimè. Il 2020 si è concluso con delle cifre imbarazzanti, a mio modo di vedere. 37 mila neo mamme hanno presentato domanda di dimissioni. La maggior parte di loro per difficoltà nel conciliare il lavoro con l’accudimento dei figli.
Potremmo far partire una filippica sull’ingiustizia, l’inadeguatezza delle leggi italiane e la mancanza di tutele. Ma partiamo con ordine e vorrei, in verità, far luce sullo stato d’animo che si può provare quando il test segna “+”.
Tra i diversi cambiamenti che una donna deve affrontare con la gravidanza prima, e l’essere genitore dopo, non si può non pensare al senso di frustrazione nel doversi quasi sentire impaurite e fuori luogo quando si deve comunicare al proprio capo (uomo o donna che sia!), il lieto evento.
Non vi è differenza sul tipo di lavoro svolto. Io stessa, tata di professione, mi sono sentita dire che: “sarebbe stato meglio se non fosse capitato”. Ah certo! Grazie per l’empatia dimostrata. Che poi, avete presente la carica ormonale che si ha in quei mesi??? Apprezzo il coraggio di chi si permette di dire una frase sbagliata ad una donna incinta.
Ritrovarsi, magari, costrette a dipendere economicamente dai propri mariti o compagni, non pensate che sia psicologicamente gravoso?
Spontaneamente mi chiedo: ”ma perché tutto questo? “
Le motivazioni non sono solo da attribuirsi ad un capo poco incline alla genitorialità o al falso mito del “se hai figli, non puoi fare carriera perché hai la testa da un’altra parte”. Cosa, peraltro, non scientificamente provata.
Improvvisamente passi dall’essere una valida risorsa ad una pura voce di costo, un ramo da tagliare perché non più efficiente. Da qui la vecchia pratica delle “Dimissioni in bianco”; quasi come un gioco di prestigio far firmare contemporaneamente al lavoratore l’assunzione e le dimissioni, queste ultime da utilizzare qualora si presenti un infortunio, malattia o, nel nostro caso, una gravidanza.
La vera mancanza, è proprio la garanzia di un’adeguata rete di servizi per la prima infanzia. Ad esempio, aiuti che permettono di accedere più facilmente alle graduatorie di asili nido, sostegni concreti che incentivino le famiglie a rivolgersi ad una tata di professione.
Le tante famiglie fuori sede che popolano le grandi città, non possono neanche avere a disposizione i nonni. Ma anche chi ha questa enorme fortuna, attualmente, si deve scontrare con la pericolosa pandemia mondiale del 2020.
E’ possibile tutto ciò ancora oggi? Perché ci siamo emancipati in così tante cose e su questo sembriamo essere fermi a quarant’anni fa? Quando era tutto meno smart-work/phone, ma forse era un po’ più semplice fare una famiglia.